La battaglia di Crimiso -
8 giugno 399 a.C.

 

Giudizi e considerazioni del Gen. Giuffrida



Parlare della battaglia di Crimiso (o Crimisso) significa riportarsi a 2.300 anni fa, narrare fatti nascosti nella nebbia del tempo, cercare il filo conduttore di eventi in gran parte ricordati dagli storici con l'aureola della leggenda e spesso riportati sotto la dicitura di "si dice" e "si narra", ed in modo assai sintetico.
Bisogna, quindi, chiarire ricorrendo a spiegazioni plausibili, cominciando con lo stabilire la località ove avvenne.

Il nome "Crimisus" si suole dare ad una divinità dei fiumi e dei boschi rappresentata da un cane o da un orso; si dà alla città della Magna grecia a nord di Crotone, Crimissa; inoltre, si fa riferimento ad un fiume della Sicilia occidentale che potrebbe essere o il fiume Freddo-San Bartolomeo, che scorre presso Segesta o uno dei corsi che formano il fiume Bèlice.
Gli storici sono tutti concordi nel dire che la battaglia di Crimiso avvenne mentre i carteginesi si apprestavano a passare un corso d'acqua non precisato.
Tuttavia, non resta che pensare al fiume Belice e non può trattarsi del fiume Freddo perchè questo, a regime torrentizio, in estate è asciutto o quasi, e nessuna difficoltà presenta al passaggio di reparti anche in formazione.

Peraltro molti indizi avvalorano questo riferimento: basta percorrere il corso del Belice, a valle dell'incrocio del ramo destro col sinistro, per notare una zona quasi pianeggiante rotta da cumuli di terra fatti dalla mano dell'uomo.
Una qualsiasi guida locale vi dirà che in quel posto sono stati rinvenuti, e si continuano a rinvenire, oggettini di creta e resti dell'epoca greca: vasetti, anfore ed oggetti vari in terracotta;
si dice anche che sia stata ritrovata una lastra di piombo con caratteri greci fusa dall'ignoranza degli scopritori. La guida vi dirà che, in gergo paesano, il luogo è chiamato "serra di li fossa" perchè viene tramandato che ivi si trovano le fosse di guerrieri caduti sul campo in fiero combattimento e che poco discosto da fiume Belice, sulle pendici dell'altopiano (dove sorgeva il vecchio centro urbano di Montevago), vi è un posto chiamato "coddu di lu grecu" ( sicuramente si allude a Timoleone e la battaglia di Crimiso, infatti i greci allungavano il collo per vedere senza essere visti, cioè osservatorio).

Tradizione storica ed orale, ricognizioni e constatazioni in sito portano, quindi, a concludere che la battaglia che va sotto il nome di Crimiso avvenne sul fiume Belice, a valle del ramo destro col sinistro, ai piede del vecchio centro di Montevago.

E perchè gli storici la riportano col nome di Crimiso ?

Il Dio Crimissus venne adottato come protettore dagli elimi e dai punici (Segesta-Cartagine); parlare di lotte nella zona di Crimiso significava quindi, per i greci, parlare di battaglie combattute contro i segestani ed i cartaginesi.
Il nome Crimissus si riferisce nell'antichità, in particolare a tutta la zona a cavallo del medio Belice.
Il Dio Crimissus fu il dio dei boschi (ritratto nelle monete con la testa di orso) e della caccia (rappresentato da un cacciatore con una muta di cani al seguito); e per gli antichi, ove erano boschi ed acque ivi era il Dio Crimissus.
Tutta la Sicilia occidentale, da Mazzara a Santa Margherita di Belice, da capo S. Vito a Gibellina era protetta dal Dio Crimissus.
Sotto questo aspetto, parlare della battaglia di Crimiso significa parlare di questa parte occidentale dell'isola e degli avvenimenti che in essa si verificarono.
Molti i corsi d'acqua che presero il nome dal Dio delle foreste "Crimissus":
presso Segesta, nella zona del monte Cronio, nell'Ellade, al confine tra zona greca ed elima in Sicilia (medio fiume Ypsa - ora medio Belice).
Quel che è certo, ormai, che la battaglia avvenne sul fiume Ypsas.

La situazione particolare, al principio dell'anno 339 a.C. si può dire la seguente:

in mano ai fenici (Amilcare ed Asdrubale: 70.000 uomini) la parte occidentale dell'isola dalla zona di Selinunte a quella di Himera località escluse);
sotto l'influenza ed il controllo siracusano (Timoleone 12.000 uomini) la Sicilia orientale e meridionale;
il centro dell'isola con i sicani favorevoli, se non alleati.
Il fiume Ypsas (Bèlice) linea di demarcazione tra i due avversari.
Lungo il litorale sud si svolgeva una grande strada che, corrente a breve distanza dalla costa, al sicuro di eventuali azioni di sbarco nemiche, collegava le varie città greche e si spingeva verso la zona fenicia oltre anche l'Ypsas.
Questa strada divenne, per la sua importanza, sotto i romani, consolare.
Il tratto che ci interessa, arriva al pianoro di Belicos (Montevago) si diramava, e si dirama tutt'ora, a sud verso la costa di Selinunte (attuale magaggiaro) ed a settentrione lungo il corso del fiume (attuale contrada Aquila).

La battaglia di Crimiso (Bèlice)
Tratto dalla descrizione di Plutarco


"Quando i Cartaginesi seppero che venivano attaccate le loro basi in Sicilia, mandarono contro i Corinzi un esercito guidato dai capitani Annibale e Bomilcare.
Arivarono a Lilibeo (Marsala) con 70.000 soldati, 200 galee, e 100 navi da carico, portavano molto grano, macchine, carri ed altre cose necessarie alla guerra. L'equipaggiamento era così imponente da servire non solo per affrontare una battaglia ma per cacciare tutti i Greci dalla Sicilia.
Tale esercito era così potente da potere sconfiggere i Siciliani anche se coalizzati e quindi fortissimi.
Appena la notizia arrivò a Siracusa, i cittadini ne furono tanto sbigottiti che, tra tante decine di migliaia di Siracusani, solo 3.000 ebbero l'ardimento di prendere le armi e seguire Timoleonte.
Dei 4.000 soldati pagati, nel corso della marcia per andare incontro al nemico, 1.000 si ritirarono per paura dicendo che Timoleonte non era in cervello ma un pazzo perchè, con solo 5.000 fanti e 1.000 cavalieri, aveva l'ardire di andare contro 70.000 persone, allontanando l'esercito di otto giornate da Siracusa, in modo che, in caso di sconfitta, chi fuggiva non avrebbe avuto salvezza, nè chi moriva di essere sotterrato.
Malgrado tale defezione, Timoleonte riuscì a condurre a combattere gli altri; li guidò al fiume Crimiso (Belice), dove i Cartaginesi erano arrivati. Sul colle, da dove si poteva vedere il campo dei nemici, incontrarono dei muli carichi di appio (sedano selvatico nel nostro dialetto chiamato "scavuni").
L'incontro sembrò ai soldati di cattivo augurio perchè le corone di appio si solevano mettere sulle sepolture.
Poichè nei giochi istmici di Corinto gli atleti venivano coronati di appio. Come cosa santa, Timoleonte pigliò l'appio e sene incoronò poi incoronò i capitani e gli altri soldati. Quindi, insieme, rivolsero le loro preghiere agli dei.

Si era in primavera. Una certa nebbia, aveva talmente coperto il piano, che i nemici no si potevano vedere. I corinzi dalle cime del poggio dove si erano fermati, a poco distanza dal campo nemico, cominciarono a sentire un certo strepito. Intanto, il calore del sole fece salire i vapori verso i monti, le cui cime vennero oscurate, e liberò i luoghi bassi dalla nebbia.
I Corinzi, allora, videro il fiume Crimiso ed i nemici che lo passavano, si accorsero che i Cartaginesi avevano messo in avanguardia i carri, seguiti da 10.000 fanti armati, i quali avevano gli scudi bianchi. Dallo splendore delle armi, dall'ordine che tenevano e dalla lentezza con la quale procedevano, capirono che erano Cartaginesi. Il resto dell'esercito si apprestava a passare il fiume con impeto e confusione.
Appena Timeleonte vide che era entrato nel fiume quel numero di nemici contro i quali con sicurezza poteva combattere, fece notare ai suoi soldati con quanto disordine erano nel fiume e mentre una parte era passata e l'altra si apprestava a passare, comandò a Demareto di andare loro incontro con la cavalleria, attaccando quelli che non s'erano sistemati in ordine di battaglia.
Scese, quindi, dal colle, sistemò parte dei suoi soldati alle due ali ed egli si mise nella zona centrale, circondato dai Siracusani e dai più fedeli e forti soldati pagati. Si fermò, quindi, a vedere quali risultati otteneva la cavalleria, avendo notato che i cavalieri non potevano agevolmente combattere, a causa dei carri che si trovavano in prima linea, ed erano costretti di continuo a ritirarsi e a riattaccare per non essere sbaragliati, Timoleonte percorse con le mani lo scudo e, con un terribile grido, incitò i suoi soldati a seguirlo.
Si crede che mai egli abbia emesso un grido tanto forte. Diede segnale ai soldati d'attaccare nelle ali, dove non c'erano carri, e si scagliò contro i cartaginesi i quali, al primo assalto, si comportarono valorosamente.
Mentre si combatteva con la spada, adoperando l'astuzia non meno che la forza del corpo, si cominciarono ad udire potenti tuoni e si videro abbaglianti fulmini cadere dal cielo. Poi la nebbia, gia batteva i Greci alle spalle e i Cartaginesi sul viso e negli occhi. I rovesci del temporale e i continui bagliori dei fulmini erano sfavorevoli ai Cartaginesi, perchè il rumore dei tuoni e lo strepito delle armi, battute dalla pioggia e dalla grandine, non facevano udire gli ordini dei loro capitani.
Inoltre i Cartaginesi non potevano essere agili nei movimenti perchè stavano nel fango, di loro grande impedimento, carichi come erano di molte armi.
Mentre combattevano, le vesti, inzuppate di acqua, li rendevano pesanti e impediti, sicchè potevano essere agevolmente abbattuti dai Greci e, se venivano a cadere a terra, non potevano in alcun modo rialzarsi, a causa del fango e del peso delle armi. Per la moltitudine di coloro che passavano e per l'acqua che affluiva da molti ruscelli, a causa della pioggia, il fiume Crimiso straripò dal suo letto e invase l'adiacente piano.
La grande piena del fiume ruppe l'avanguardia dei Cartaginesi che si diede alla fuga. Molti, colti dal fango dai Greci, furono uccisi, altri affogarono nel passare il fiume e moltissimi, che si dirigevano verso il colle, furono annientati dalla cavalleria leggera greca.
Dei 10.000 uomini che morirono, 3000 erano tra i più importanti uomini di Cartagine, sia per nobiltà che per ricchezza, credito e reputazione. La disfatta portò tanto spavento a quella città, perchè non era successo mai che in una battaglia fossero morti tanti Cartaginesi. Dal bottino i Greci conobbero quale era stata in vita la nobiltà e la gloria di coloro che erano morti.
I greci s'impadronirono degli alloggiamenti, dei carri e dei bagagli e fecero 5.000 prigionieri. Dopo aver fatto tanto bottino, il terzo giorno dopo la battaglia, Timoleonte mandò a Corinto, con la notizia, anche il trofeo della vittoria. Così i templi di Corinto vennero ornati dalle spoglie che mostravano come i Corinzi e Timoleonte avevano liberato i Greci dal potere dei Cartaginesi.
Timeleonte, dopo avere mandato i soldati pagati nel territorio dei Cartaginesi per saccheggiarlo e devastarlo, ritornò a Siracusa." 

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